
Bice Bisordi
Scrivere di qualcuno non è mai semplice. A maggior ragione se quel qualcuno non lo conosci e tutto quello che hai a disposizione sono due scatoloni con qualche documento, appunti sparsi, fotografie, ricordi. Questo aveva a disposizione Dianora Tassinari quando si apprestava ad onorare il “gravoso compito” di scrivere un libro che recuperasse la memoria di Bice Bisordi. Scultrice pesciatina, nata nel secolo scorso, la cui fortuna critica non giunge fino ai giorni nostri, sebbene apprezzata in vita dai suoi contemporanei e guardata con interesse da artisti come Carlo Carrà e Gino Valori. Ma l’intento di Dianora non è mai stato quello di cimentarsi in una retrospettiva dell’artista, quanto piuttosto quello di restituire la donna Bice. È questo il valore aggiunto di “La nostra B.B.”, edito dalla Fondazione Pomaliberatutti, che ho avuto l’onore di presentare al pubblico lo scorso 11 marzo, data in cui ricorreva il 120esimo compleanno di Bice.
Chi è questa Bice, la cui ambizione più grande fu quella di liberare la passione che la spingeva a impastare la creta finché non avesse preso la forma suggerita dal suo spirito, che si sentiva a suo agio nella vetrina del suo atelier di Montecatini, ma appariva tanto pudica e riservata nel privato? A queste domande prova a rispondere Dianora nonostante “la donna e l’artista parlassero lingue differenti” e il “il suo privato era talmente protetto da apparire inesistente”. Una sfida non banale per una scrittrice che non si considera scrittrice, ma che dimostra di esserlo ad ogni riga, non solo per la prosa avvolgente che utilizza, ma soprattutto per la capacità di posare il suo sguardo su pochi elementi scelti e restituirne un ritratto di donna fatto di vibrante autenticità.
Incontro Dianora qualche giorno prima della presentazione, nella biblioteca della Fondazione Poma. Lì facciamo l’intervista e quasi subito avverto che sarebbe stata diversa, “speciale”, una chiacchierata franca in cui ciascuna esce con disinvoltura dal “ruolo” imposto dal frame, complice anche l’atmosfera che aleggia in quell’ambiente, oggi biblioteca, ieri stanza da letto di Bice Bisordi. Apprendo che a causa della scarsità delle fonti, Dianora ha interrogato a lungo le fotografie che ritraevano Bice all’opera, provando a cogliere cosa la muovesse, cosa si agitasse nella sua interiorità. Soffermarsi sullo sguardo di una sconosciuta e provare a catturarne l’essenza, i pensieri più riposti, il sentire più vero. È stato questo probabilmente ad avere stabilito il contatto tra loro, ad avere alimentato un dialogo immaginifico, ad avere cementato un legame fuori dallo spazio e dal tempo. A colpirmi, ascoltando Dianora, è l’estremo rispetto con cui si è accostata a Bice. Nessun indulgere voyeurista in quella vita segreta, carpita da pochi dettagli, nessuna presunzione di giungere alla verità, solo il vibrante desiderio di rintracciare la passione che animava l’artista, anche nella donna Bice. Lì un pensiero fugace: passiamo la vita a volere essere visti, bello che qualcuno abbia voluto fare di questo “vedere” una mission letteraria.
Viviamo in un mondo dove l’essere è perennemente mortificato dal fare e “chi sei” finisce per essere ricompreso nel “cosa fai”.
Così Manzoni è un grande scrittore, Caravaggio un grande pittore, Dante il sommo poeta. Ma questa è una parte, spesso scambiata per il tutto. Manzoni faceva lo scrittore, Caravaggio il pittore, Dante il poeta. Ma c’era una varietà, un’immensità, un mondo estremamente composito dentro di loro. Così come c’è una varietà, un’immensità, un mondo estremamente composito dentro ognuno di noi.
Mi rende felice che qualcuno, osservando la terracotta di una scultrice nata più di secolo fa, abbia investito tempo ed energie nell’interrogarsi su chi lei fosse, su cosa animasse il suo spirito. Essere visti è un privilegio assoluto, il dono più grande che possiamo fare ad un essere umano.