Il domani è incerto, non pensarci, amico;
il passato è già volato via, senza più un grido.
Se hai del vino, bevi, e sii felice un dì;
ché la vita è breve, e in fretta fugge via così.
Questi versi sono del poeta persiano Omar Khayyām, che sebbene censurato dagli ajatollah con l’obiettivo che il popolo non rammenti un’identità diversa da quella imposta dal regime, sono la testimonianza del legame inscindibile tra l’antica Persia e il moderno Iran. Sono un invito a vivere il presente, ma soprattutto ad essere presenti a se stessi, ad onorare la vita che c’è dentro di noi.
Me li ha mandati la mia amica Faribafariba, che vive in Italia, ma la cui famiglia è a Teheran, per cui suppongo non debba spiegare come si può sentire in questo momento.
Al di là delle considerazioni ovvie, Fariba mi ha dato un messaggio importante che desidero condividere con tutti voi: bisogna scegliere le cose da raccontare.
Perché è troppo facile, oggi, sentirsi sgomenti davanti alle macerie di Teheran o Tel Aviv. Sentire una stretta al cuore perché gli Stati Uniti sono ufficialmente entrati in guerra e quindi anche noi lo abbiamo fatto, perché il nostro filoamericanismo politico è invisibile solo a chi sceglie di non vederlo. Oggi possiamo guardare le immagini dei bombardamenti su Instagram o in tv e impressionarci, ma tra qualche giorno le strade e i cieli di Teheran e Gerusalemme saranno per noi come quelli di Gaza, dove la notizia di 10 morti o 100 o 10.000 mila sortirà il medesimo effetto. Siamo anestetizzati. Non proviamo più realmente dolore per ciò che accade e non è un caso.
Forse anche per questo comprendo Fariba quando dice che vorrebbe raccontare le storie che parlano delle anime che, come gli alberi, sono collegate dalle radici. Anime che, nel momento della difficoltà, fanno arrivare le risorse ai più deboli,
per un equilibrio che nutre tutti. Come le cosiddette “albere madri” che inviano zuccheri e altri nutrienti essenziali agli alberi giovani o in difficoltà, garantendo la salute e l’equilibrio dell’intero ecosistema forestale, soprattutto nei momenti di stress.
Noi non possiamo essere meno degli alberi. Mi dice Fariba.
Questo è un popolo non prevedibile.
Questo è un popolo con radici profonde.
Radici che non si spezzano,
ma si intrecciano,
si allungano,
si moltiplicano.
Anche adesso.
Sotto le bombe.
E allora anche noi possiamo allungare le nostre radici, smettendo di fare il tifo, di credere a questa narrazione che vede contrapposti i buoni e i cattivi, che esalta l’Occidente come la parte “giusta” del mondo, quella più evoluta.
Avere il potere non equivale ad essere sapienti.
Nel corso dei secoli abbiamo risposto ad un’infinità di domande importantissime, ma non alla più importante di tutte: chi siamo e soprattutto chi vogliamo essere? Quello che ci raggiunge ogni giorno da una realtà che, oggi, ci appare lontanissima, ma è molto più vicina di quel che crediamo. È la nostra umanità ad essere in crisi e le tensioni internazionali ne sono un riflesso. La Pace non è quella strumentale, pretestuosa, retorica che viene invocata nelle piazze. La Pace inizia da noi. Se vogliamo la Pace dobbiamo cominciare dall’ESSERE PACE.