Nel fragore causato dall’eliminazione della Nazionale agli Europei, la notizia delle elezioni in Iran è passata quasi in sordina. Nulla di anomalo sotto il cielo di un’estate italiana, che seppur molto diversa da quella cantata dal duo Nannini-Bennato nel 1990, vede il calcio sempre in primo piano rispetto alla politica estera. Popolo di santi, navigatori, poeti certo, ma anche e soprattutto popolo di tifosi!
Ciononostante mi ha colpito l’attenzione dei nostri giornali nell’evidenziare il record negativo di affluenza del popolo iraniano: il voto che ha portato Pezeshkian e Jalili al ballottaggio il prossimo 5 luglio ha registrato, infatti, una partecipazione di appena il 40 per cento, quasi 9 punti in meno delle precedenti del 2021 e la più bassa dalla fondazione della repubblica islamica nel 1979. Lo ha riferito la Commissione elettorale iraniana.
Nel suo servizio per il Tg1, l’inviato a Teheran Sergio Paini già nell’attacco definisce l’Iran “una Repubblica con un problema di legittimazione popolare”. La scommessa dell’Establishment, infatti, era quella di riportare gli iraniani alle urne dopo il crollo storico dell’affluenza nelle precedenti elezioni e il divorzio politico con i giovani e le donne.
Un “test importante” per la tenuta della Repubblica Islamica, l’aveva definito la Guida Ali Khamenei, esortando gli iraniani ad andare alle urne. Invece sono soprattutto i giovani ad avere rivendicato il “non voto di protesta”, quegli stessi giovani che hanno chiesto diritti e hanno pagato col sangue e per questo sognano un biglietto di sola andata per l’Europa.
L’Europa libera dove alle ultime elezioni, lo scorso 9 giugno, si è registrata un’affluenza del 51,06 per cento (e che in Italia scende al 49,69%) comunque in calo in tutti i 27 Paesi chiamati al voto per scegliere i 720 deputati al Parlamento di Bruxelles.
Ma nessun giornalista si sognerebbe mai di interpretare l’astensionismo nostrano come un problema di legittimazione popolare. Ovviamente. “L’Europa ha votato, la democrazia è viva” ha detto la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola all’indomani delle consultazioni, nessun cenno sul fatto che si è espresso poco più della metà degli aventi diritto e in alcuni paesi addirittura un po’ meno della metà. Se in Iran spira il vento del cambiamento, nella vecchia Europa tutto continua a cambiare perché nulla cambi davvero. E i giornalisti si guardano bene dal fare diventare il tema dell’astensionismo oggetto di dibattito nella sfera pubblica.
L’opinione pubblica, infatti, come sostiene anche Sartori è un elemento fondamentale per il funzionamento della democrazia, ma non è affatto detto che “debba essere informata, né tanto meno razionale”. La buona qualità dell’opinione pubblica secondo il padre della scienza politica italiana non è una condizione necessaria al funzionamento della democrazia perché il popolo, seppur disinformato e incompetente, è chiamato ad esercitare un solo vero compito: eleggere. Il cittadino non decide cosa fare, ma chi farà e per far questo probabilmente è sufficiente l’illusione di essere informato.
Da sempre, non si fa giornalismo senza fare politica: informare di questioni di interesse generale è già fare politica. Manipolare l’informazione, invece, contribuisce a quella che Castoriadis definisce “ascesa dell’insignificanza” ovvero il proliferare di una serie di opinioni indifferenziate che finiscono per trasformarsi in veri e propri miti, buoni solo a gettare fumo negli occhi a chi è indotto a credervi e a permettere di conseguire i propri scopi particolari a chi ne favorisce la circolazione.
Si diffondono così affermazioni semplicistiche (e all’apparenza incontestabili) come il fatto che votare è un diritto oltre che un dovere, che libertà è partecipazione, che chi non vota lascia che altri scelgano per lui e che non ha poi diritto di lamentela, quasi degli slogan, opinioni con le quali è difficile non essere d’accordo, ma non per la forza argomentativa che le sostiene, ma per la superficialità che le contraddistingue. L’informazione avrebbe il diritto-dovere di interrogarsi e fare interrogare circa il dato relativo all’affluenza alle urne, da tempo in costante calo nel nostro Paese. È la sua funzione. Perché anche l’Europa, come l’Iran (con le dovute differenze, è ovvio) ha un problema di legittimazione popolare. Quando supera percentuali trascurabili, è tacito che l’astensionismo è un segnale di protesta degli elettori, che non votando mostrano non solo di non sentirsi rappresentati, ma anche che il loro atteggiamento nei confronti della politica è di crescente sfiducia.
In Iran, così come in Europa.
Ma bisogna rilevarlo, ovvero farne oggetto di riflessione collettiva, non fosse altro che per promuovere il cambiamento. Quel cambiamento bisogna prima di tutto raccontarlo, a partire dai sintomi con cui prova a manifestarsi. Non riconoscere i sintomi, infatti, o ignorarli/mascherarli/mistificarli/manipolarli, al contrario serve solo a prolungare l’agonia di quella tanto invocata democrazia, che tutto è tranne che viva e in buona salute.