Chi sono

Rispondere alla domanda “chi sono?” è sempre in qualche modo un rischio. Il primo grosso malinteso in cui si rischia di incappare è quello di confondere chi si è con cosa si fa. Sono medico, sono ingegnere, sono avvocato. Ma questo è il tuo lavoro, non sei tu! Per tanto tempo a questa domanda ho risposto con “sono una giornalista”, senza rendermi conto dell’implicazione malsana che comportava sovrapporre due piani, che sebbene vicini, non sono mai coincidenti (per fortuna!).
Infatti, io sono molto di più di ciò che faccio.
Adesso lo so, ma quando 20 anni fa decisi di dare seguito a quella passione per la scrittura e la ricerca giornalistica – sì, perché l’informazione è soprattutto ricerca – lo ignoravo e ignorandolo ho finito per identificarmi con ciò che facevo.
Cosa vuol dire? Che non vedi più i limiti e le storture del mondo di cui fai parte, che la prospettiva da cui guardi la realtà finisce per essere quella da cui ti hanno “addestrato a guardare”, parziale e deformante. Il che è un male, soprattutto per chi, come me, ha scelto di fare questo mestiere sposandone il portato etico. D’altra parte, come sosteneva Wickham Steed, storico editore del Times: “il giornalismo è qualcosa di più di un mestiere, qualcosa in meno di una professione, una via di mezzo tra un’arte e il sacerdozio. Un vero giornalista è in modo non ufficiale, ma di fatto, un servitore pubblico il cui dovere è servire la comunità”.
Da 12 anni, seguo per il quotidiano “Il Tirreno” la cronaca di una piccola porzione del territorio pistoiese – la Valdinievole – ricavando da tale esperienza una molteplicità di stimoli, di cui non avrei mai ritenuto la cronaca locale potesse essere foriera.
Quando nell’ormai lontano 2008 tentai di entrare in Rai, partecipando ad una selezione pubblica, ambivo a lavorare in una grossa azienda ritenendo tale eventualità più gratificante rispetto ad altre. Oggi so che le soddisfazioni maggiori non provengono dal prestigio di cui gode la testata per cui lavori, ma dalle persone comuni, che sono disponibili a riconoscere in te, in quanto rappresentante del quarto potere, un interlocutore credibile cui affidare le loro istanze di verità e di giustizia sociale. Perché esiste ancora un segmento della società civile, animato da un sentimento popolare e genuino, che vede nei media “un potere al servizio della gente”, capace di incidere in maniera significativa sul mondo di inefficienze con cui ci misuriamo ogni giorno.
Quindi tornando all’interrogativo a cui sto tentando di rispondere, ovvero chi sono? Mi sento di dire in tutta onestà che sono una persona in ricerca, personale e professionale, che cerca di portare ogni giorno chi è in quello che fa.
Se c’è una cosa che non è mai cambiata da quando ragazzina quindicenne vagheggiavo di fare questo mestiere è l’intuizione che ognuno di noi debba cercare di fare la differenza nel mondo che abita, non per gratificare il suo ego, ma piuttosto per trovare un “senso” al viaggio. Da questa constatazione prende le mosse il mio attivismo, che ho declinato in passato sotto forma di giornalismo d’inchiesta e che oggi vede nella divulgazione attraverso conferenze, seminari e corsi lo strumento più efficace per diffondere piccoli semi di consapevolezza. Ciò che conta, dice Howard Zinn, sono gli infiniti piccoli gesti delle persone comuni. Sono quelli che gettano i semi degli eventi che faranno la storia. Quando riusciremo a vederli, capiremo anche che i nostri più insignificanti atti di protesta possono diventare le radici invisibili del cambiamento sociale.
Questo è il mio atto di protesta.